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L’ultimo giorno dell’anno è quello che maggiormente mette sotto sforzo alcune forme della grammatica italiana. Facendo un bilancio dei giorni trascorsi infatti siamo soliti usare in modo frequente condizionali e congiuntivi, da sempre piccolo ostacolo per lo studente medio. “Se quest’anno avessi potuto…se quella persona non avesse detto…avrei dovuto…ci sarebbe servito…” e via di ipotesi sempre sotto condizione (chissà quali condizioni poi!). Al di là del fatto che, fare un esercizio di periodo ipotetico è molto utile, questo uso forzato potrebbe creare in noi molte insoddisfazioni, come se non fossimo arrivati ad un abbastanza. Mi chiedo però se il criterio della soddisfazione sia un criterio buono per il bilancio di fine anno, specialmente per chi percorre quotidianamente la via dell’educazione. Essere soddisfatti, ovvero essere sazi di aver fatto abbastanza è una chimera pericolosa. Guai se fossimo soddisfatti di quanto abbiamo fatto finora: lieti sì! Grati anche…e molto! Ma soddisfatti mai. Vorrebbe dire che abbiamo fatto e dato tutto e quindi ci avviamo alla pensione (non so se ci conviene di questi tempi). Una società sazia è una società morta, un ambiente educativo soddisfatto dei propri successi è un ambiente educativo che non ha più molto da dire e dare e che non ha confronti sani con la realtà, che non è mai completa. Il vero criterio dell’amore è proprio quello di essere sempre affamato, mai sazio, sempre in ricerca di un di più per l’amato, per gli amati.
Inquieto e irrequieto è quell’educatore, quel padre, quella madre, quel giovane che “ficca gli occhi” dentro al futuro, un futuro non solo per sé, e anche, se non distingue chiaramente le forme, sa intravvedere possibilità dove il cinismo e la disperazione vedono solo strade chiuse.
Allora tanti auguri a noi se iniziamo un anno nuovo con il desiderio di inseguire quelle inquietudini relazionali, professionali, vocazionali che ci rendono uomini e donne di futuro, che ci fanno sporgere in avanti con il rischio di perdere l’equilibrio di fronte all’ignoto. Stiamo davanti al nuovo anno come uomini e donne di speranza. “Chi ha speranza, infatti, vive diversamente; gli è stata donata una vita nuova”, ricordava papa Benedetto XVI. Chi ha speranza sta di fronte al domani in modo nuovo e senza paura, perché sta di fronte all’ad-venire. E la differenza che passa tra il futuro e l’avvenire è decisiva. “Il futuro è quasi un’estensione del presente e, a determinate condizioni, può perfino essere previsto. L’avvenire, invece, è quello che accade al di fuori e spesso contro previsione, è l’imprevedibile per eccellenza”.
Auguri a tutti noi, uomini e donne inquieti e aperti all’imprevedibile della Provvidenza.
Sr Francesca
(1 S. Petrosino, Viviamo la rivincita dell’imprevedibile, tratto da Avvenire)
1 commento
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Grazie sr Francesca per l,’augurio.
È vero che oggi primo giorno dell’anno tutti dicono …speriamo in un anno migliore, come se tutto dovesse dipendere da non si sa quale destino che ha previsto quali anni saranno più sereni e quali meno….come in una lotteria o in una roulette comandata da qualcuno.
E guardando in dietro tutti vediamo quasi solo le cose che non sono andate bene, o non secondo i nostri piani
Eppure ci sono molte cose che ci sono successe e che potrebbero averci fatto crescere e maturare nella nostra umanità. Ma forse non c’è ne siamo neppure accorti.
Allora io credo che sia piu una questione di occhi che di pancia. Il mio augurio è che possiamo curare i nostri occhi perché possano cogliere tutte le piccole sfumature di bene che si nascondono anche dove noi vedremmo solo ombre.
E per curare questi nostri poveri occhi sappiamo che abbiamo un collirio infallibile che è Gesù.
Con questi occhi, che saranno legati al nostro cuore, trasmetteremo ai ragazzi la cosa più grande, il Suo Amore.
Buon anno a tutta la comunità
Valentina